Ho sempre immaginato il nostro ecosistema come una grande torre costruita da tanti piccoli mattoncini Lego: come ne tiri via uno qualsiasi, tutto cade giù inesorabilmente. Ciò potrebbe sembrare un’esagerazione, ma basta fare un semplice esempio per comprendere che un intero ecosistema comincerà a funzionare diversamente anche se si cambia soltanto un piccolo elemento della “torre”.
Agli inizi del ’900, su insistente richiesta di alcuni consiglieri che lamentavano una diminuzioni importante del numero di ungulati presenti nel Parco di Yellowstone, il governo degli Stati Uniti d’America decise di dare avvio allo stermino massiccio dei lupi, nemici fisiologici di quelle specie “in pericolo”. Tuttavia, dopo meno di un secolo, la scelta si dimostrò fatale per l’ecosistema. Infatti, l’aumento esponenziale del numero delle alci fu tale da originare una situazione drammatica: la vegetazione venne letteralmente disintegrata causando una significativa riduzione della biodiversità e mutando totalmente il volto del Parco: perfino i fiumi subirono una profonda modificazione….Sì, proprio i fiumi!
Visti i risultati nefasti della scelta governativa, nel 1995, grazie alle insistenze di alcuni coraggiosi promotori, il nuovo Governo deliberò di reintrodurre nel parco alcune coppie di lupi. In breve tempo oltre ad una sensibile diminuzione degli ungulanti in sovrannumero, si assistette a un importante cambiamento del comportamento degli stessi, i quali, per non essere predati, iniziarono ad abbandonare le valli e le gole consentendo alla vegetazione di rigenerarsi più velocemente. Ciò comportò un aumento della popolazione degli uccelli – che potevano contare su alberi più alti e rigogliosi – e il ritorno dei castori, che con le loro dighe crearono le condizioni favorevoli affinché altre specie potessero installarsi lungo i corsi dei fiumi: pesci, anfibi e lontre. Inoltre, dal momento che i lupi predavano i coyote, crebbe il numero dei roditori con l’inevitabile conseguenza di un incremento di falchi e di altri grandi uccelli predatori. E fu così che, grazie all’azione simbiotica di flora e fauna, gli argini dei fiumi divennero più solidi e meno inclini a franare, incorniciando un corso d’acqua che scorreva florido e sinuoso piuttosto che a meandri. I fiumi hanno beneficiato dell’azione dei lupi… stavamo per distruggere un intero ecosistema.
E come non pensare, giusto per citare brevemente un altro antecedente storico, alla celebre “Campagna di eliminazione dei quattro flagelli”, proclamata da Mao Tse Tung sul finire degli anni ’50 e acclamata a gran furore dalla popolazione cinese, che, oltre a mosche, ratti e zanzare, si scagliava soprattutto contro i passeri (sì, proprio i passeri), rei di far incetta di semi di grano? Ebbene, il risultato di questo ingegnoso piano – “grande balzo in avanti” fu chiamato – fu un colossale disastro ambientale e sociale: a breve proliferarono insetti (la maggior parte dei quali estremamente pericolosi per le coltivazioni) e dilagarono carestie ed epidemie. Al resto ci pensò la fame, quella stessa che aveva spinto le popolazioni ad armarsi in una guerra dissennata al temibile passero, la cui specie contò in due anni approssimativamente 8-10 milioni di perdite.
La Natura ha fra le sue più grandi doti quella di equilibrarsi da sola, e se essa impazzisce ogni qual volta l’uomo interviene a modificarne qualche parametro, è perché il nuovo “equilibrio” che le viene imposto non le appartiene, essendo esso frutto dell’arbitrio dell’uomo e non il brillante risultato di millenni di evoluzione.
Detto ciò, dovremmo porci delle domande generali sulla legittimità e sull’efficienza di alcune azioni che arbitrariamente decidiamo di esercitare sulla Natura, ma più di ogni altra cosa, forse, dovremmo capire che i lupi presenti sulla nostra penisola non sono affatto il male assoluto. Anche loro, come tutti gli animali che popolano i nostri parchi e le nostre montagne, avranno, attraverso il loro microsistema, una funzione fondamentale per il benessere complessivo del Paese. Ovviamente con questo non voglio dire che i pastori devono subire gli eventuali attacchi dei lupi a cuor leggero, tuttavia mi sento di affermare che potrebbero esserci soluzioni differenti e migliori dell’abbattimento di questi animali selvatici.
Essendo un allevatore di cani da pastore dell’Asia Centrale, non potrei che essere un deciso sostenitore dell’utilizzo dei cani quali custodi delle greggi e del bestiame. Infatti penso che questi fantastici guardiani abbiano delle doti genetiche che permettono all’uomo di sfruttarli per le loro funzioni tipiche senza nessuno tipo di addestramento specifico. Come si legge nella vecchia letteratura cinofila, questi cani hanno solo bisogno di un buon imprinting che, nel loro caso, si traduce nella c.d. Morra: un percorso consistente nella socializzazione fin da cuccioli con il pastore e le bestie da gregge. Questi cani, se ben dotati, intimidiscono a distanza i lupi scoraggiandoli ad aggredire le bestie. In Natura, infatti, gli animali selvatici difficilmente tentano di imbarcarsi in questioni complesse e pericolose, preferendo anzi prede più semplici da uccidere in quanto meno dispendiose in termini energetici. Un lupo deciderà senz’altro di desistere dall’aggredire una pecora se intuisce che per ottenere la preda deve lottare contro grossi cani da pastore, siano essi asiatici che di qualunque altra razza. Oltre tutto, poi, per il Pastore transumante o stazionario avere la compagnia di un cane da Pastore dell’Asia Centrale è una dell’esperienze più belle che si possano vivere, ma questa è un’altra storia che merita di essere trattata in maniera più approfondita.
Con quanto detto finora non voglio insegnare nulla di nuovo: riporto semplicemente ciò che la Natura ha fatto. Sterminare una determinata specie non è una soluzione né efficace né definitiva, dal momento che potrà essere solo fonte di nuove e più dure sciagure.
Salvatore Finaldi